





Viviamo un’epoca nella quale spesso il giudizio e la discriminazione sono purtroppo all’ordine del giorno, partendo anche dalle piccole cose e da comportamenti apparentemente innocenti.
Alcuni giudicano e ti escludono se sei originario di un Paese diverso, se non parli correttamente la lingua, se porti i capelli di colore differente, se hai preferenze sessuali che non condividono, se economicamente sei diverso, se sei autistico, down.
Essere “diverso” rispetto a un cliché non meglio identificato è motivo di giudizio, di scherno, di isolamento, di non accettazione.
Accade nella vita in generale. Nelle scuole, nell’ambiente di lavoro, nel condominio dove abiti, ovunque.
Chi aggredisce a sua volta è stato aggredito in qualche modo e, spesso inconsapevolmente, pone in atto un codice di comportamento che replica verso gli altri il disagio che lui o lei stessa hanno vissuto.
Accettazione, integrazione, rispetto, comprensione, accoglienza e altre parole ancora dovrebbero essere nel vocabolario di ognuno, ma non sempre è così.
Succede in questo modo che tuo figlio, tua figlia, si senta esclusa. Non accettata. Non adeguata.
Accade in questo modo che tuo figlio, tua figlia, si senta autorizzata a schernire un coetaneo, solo perché ai suoi occhi appare diverso.
Poi si cresce e quelle stesse dinamiche vengono portate nell’ambiente di lavoro, dove il collega parla male abitualmente dell’altro per emergere.
Oppure dove il capo scarica le proprie ansie sui collaboratori, o viceversa i collaboratori scaricano su di lui le proprie insoddisfazioni a prescindere dai suoi meriti.
Sei stupido, non capisci nulla, sei grasso, ma chi ti credi di essere, sei magro, sei lento, non riuscirai mai a fare nulla nella vita, svegliati … sei, sei, sei.
Etichette che qualcuno decide di darti e di ripeterti magari all’infinito, fin dall’età infantile. Etichette che possono rimanere lì, nello stomaco o in qualunque altro ambito delicato del tuo essere, senza mai lasciarti.
Bulli e bullizzati alla fine vivono la medesima esperienza triste, senza che nessuno intervenga.
E se esistesse un modo per uscirne, per svoltare, per reagire in modo positivo facendo dell’esperienza qualcosa di buono, cosa faresti?
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